Svenduto Amor

Da un sondaggio compiuto per le aule del Liceo Classico “Ugo Foscolo” emerge che il 17% degli studenti è attualmente fidanzato, prevalentemente ragazze, con una media di 3,6 fidanzati per classe. Nello specifico: il numero di fidanzati per classe al biennio è bassissimo (uno, due per classe); va aumentando invece al triennio, specie nelle classi quinte (si raggiungono picchi di sei, sette). A questo dato si oppone quello di chi attualmente è single: al Liceo Classico (udite, udite) l’83% degli studenti. Non è poco, se si pensa che su dieci solo due studenti sono fidanzati, ammettendo talvolta la possibilità che quei due siano fidanzati e compagni di classe. Insomma, la situazione potrebbe rincuorare i single, sconsolare i venditori di rose e gingilli amorosi.

Ma cosa significano veramente questi dati? Sostanzialmente niente, giacché i numeri non sono in grado di valutare l’intensità dei sentimenti. Mi verrebbe, tuttavia, da pensare che l’amore, alla nostra età, non pare essere cosa così comune, o perlomeno, non tanto quanto ci si aspetterebbe.

L’ipocrisia dei giorni nostri, che attanaglia qualsiasi aspetto della realtà, vorrebbe farci credere che l’amore sia qualcosa associabile più ai fatti di costume che all’intimità della persona. Non c’è da stupirsi: se della stupidità si è fatto un vanto, non vedo per quale motivo non si possa portare in spalla quello che, invece, andrebbe tenuto sotto chiave. Dunque, ci si ritrova a parlare di ciò che di più puro si può trovare in una relazione come fosse un volgare pettegolezzo, una discussione da osteria. E l’argomento perde la sua purezza, ormai supposta e immaginata, non più reale.

È questo che rende terribilmente schifoso, annerito dai fumi della vergogna, unto della parola comune e vacua, viscido delle bave dei commenti e delle impressioni altrui quello che costituisce l’essenza stessa dell’Amore.

L’amore è silenzioso, non ha bisogno dell’acclamazione generale, non necessita della pompa e dei fasti dei pettegolezzi. L’amore, se è vero, non viene esposto, ma viene taciuto: e questo perché a nessuno, se non ai curiosi e agli sciocchi (le peggiori razze di uomini), interesserebbe quel che si vive in una relazione. Agli occhi più fini e delicati appare più che palese se un amore è vero o falso, frutto del sentimento umano o della necessità animalesca. E, benché sia la persona meno adatta per mandare certi messaggi, inviterei anche i ragazzi fidanzati a fare questo tipo d’analisi con una banale domanda: perché si è fidanzati? Sospetto vagamente che le risposte dei fidanzati d’occasione saranno diverse e non omogenee nel significato. A questo punto mi farei qualche domanda, se fossi nelle condizioni in cui ho la fortuna di non trovarmi.

E i single? Che fine hanno fatto? Non mi son certo scordato di voi! Voglio infondervi un po’ d’autostima: pensate che Isaac Newton, uno dei più grandi matematici e fisici di tutti i tempi, morì vergine, ma passò alla Storia. Voi, non solo siete vergini, ma non passerete nemmeno alla Storia: insomma, vi converrebbe darvi all’ippica o ai campionati provinciali di briscola a cinque.

Mi si dirà certamente: “Perché hai detto «vi converrebbe»? Non sei anche tu single?”

E qui casca l’asino: quando si parla d’amore ci si dimentica fin troppo facilmente di essere presi in causa e accusati dalle nostre stesse parole. Eccovi la sporca presunzione di chi parla (e scrive) d’amore, che è convinto di saperne sempre più di chi lo circonda o di chi lo vive veramente, dimenticandosi di sé e del suo essere umano. Dunque, mi congedo commosso, prima che la mia vanità mi porti a dire cose di cui potrei pentirmi o ricredermi tra una decina di giorni. Prendete e interpretate quei pensieri e quei dati in qualsiasi modo voi vogliate.

Ma vi ho preso in giro, mi son dilettato alle vostre spalle: sono un ipocrita tra gli ipocriti, che non ha intenzione di esimersi. Ho parlato d’amore come finora ne ho sentito parlare: l’amore diventa dati, tecniche e deplorevole autocommiserazione. Vergogna a noi, coniugati e non! Un casto silenzio dovrebbe regnare e invece viviamo nel postribolo della volgarità.