“Canicattì: un racconto di Storia, Cultura e Sapori tra le colline viticole”

Tra le vie acciottolate del centro storico, le festività religiose rivestono un ruolo fondamentale, unendo la comunità in momenti di devozione e celebrazione. La processione del patrono, seguita con fervore dai cittadini, trasforma le strade in un palcoscenico di fede e tradizione, mentre i colori vivaci delle sagre popolari catturano l’attenzione di visitatori e locali.

Ma non sono solo le festività religiose a plasmare il carattere di Canicattì. Le tradizioni culinarie, con ricette tramandate di madre in figlia, sono autentiche perle gastronomiche che raccontano storie di convivialità e amore per la buona cucina. Dai dolci prelibati ai piatti tipici, ogni boccone è un viaggio nel passato, un assaggio di autenticità che lega le generazioni.

In questo articolo, esploreremo il cuore pulsante delle tradizioni di Canicattì, catturando la magia di un passato che continua a vivere nel presente.

Come detto prima le tradizioni, le usanze e i costumi presenti a Canicattì sono tantissimi. Certe tradizioni sono radicate nella storia di Canicattì, tanto che a volte la città è conosciuta solo per questo motivo.

Sin dalla Domenica delle Palme, iniziano le celebrazioni che dominano il ciclo delle feste pasquali, già dal Novecento la benedizione delle palme, avveniva esclusivamente nella Chiesa Madre e quindi tutto ciò recava confusione alla gente che si accalcava nell’altare. Secondo un anonimo canicattinese, un ragazzino usciva cavalcando un somaro dalla Chiesa Madre seguito dai dodici apostoli, che erano vestiti con una tunica bianca da comunione e giravano “in processione per il paese”. Il Giovedì Santo i fedeli si recavano nelle varie chiese con i “sepulcri”, steli di grano intrecciati a forma di minuscole croci. Almeno fino a circa ottant’anni fa, durante il Giovedì Santo e nella sola chiesa del Carmine, un monaco seduto nella parte centrale della navata, somministrava a scopo di penitenza dei colpi di bacchetta sulle mani dei fedeli in cerca di redenzione. Il Venerdì Santo, giorno della scinnenza (la deposizione), è d’uso mangiare la pasta alla milanisa: con sarde, finocchietti selvatici e mollica riscaldata. Il corteo partiva dalla Chiesa di San Diego e portava la statua di Cristo con la croce, inoltre prima era presente il coro dei lamentura (tipo le prefiche nel mondo latino), cioè coloro che levavano lunghi lamenti di commiato per la morte di Cristo. Successivamente tutto il corteo arrivava al calvario dove veniva posto Cristo e solo al calar delle tenebre avveniva la vera e propria discesa, poi la processione prende a seguito dell’urna di Cristo e le altre tre statue dell’Addolorata, della Maddalena e di San Giovanni, in sottofondo le musiche solenni della banda che durano fino alla mezzanotte, l’ora in cui si concludono le cerimonie con la spartenza, cioè la separazione e si ritorna al punto di partenza. Durante la Domenica di Resurrezione è presente un vero e proprio incontro in cui le tre statue che fanno una vera e propria corsa per salutarsi e per incontrarsi. Il giorno di Pasqua oltre a mangiare l’agnellino, per tradizione si mangia un dolce tipico chiamato “cannilera”, formato dall’uovo sodo, che rappresenta il cestino tipico pasquale.

Un’altra festa importante è “Lu Tri di Maiu”, la festa del SS. Crocifisso, processione che accompagna dalla Parrocchia del Santo Spirito alla chiesa di San Francesco l’Immacolata Concezione, durante questa festa si svolgono delle serate di intrattenimento e c’è una degustazione del vino e dell’uovo sodo. Durante questa festa le donne del quartiere di Borgalino si organizzano per preparare lavoretti artigianali come delle creazioni con l’uncinetto.

Una delle tradizioni che lega convivialità e festa è quella dell’Immacolata Concezione: il 7 dicembre si fanno “li vamparotti” che sono dei grandi falò che secondo la tradizione scacciano il maligno, mentre l’8 si mangiano i cosiddetti “muffulietti

Per quanto riguarda la festa del patrono si narra che sia nata dal fatto nel 1467, Andrea De Crescenzio, barone di Canicattì, ottenne la licentia populandi, cioè il diritto di aumentare la popolazione, si prodigò a farvi affluire gente da altri territori, invogliandola con agevolazioni e concessioni varie. Vennero allora a stabilirsi a Canicattì numerosi abitanti di Taormina, i quali, devoti di San Pancrazio, ne introdussero il culto, anzi fecero sì che ne diventasse il patrono. E si prodigarono a dedicare a lui la vecchia Matrice, che sorgeva presso il Castello e poi venne ricostruita nel piano della Badia.

Rimanendo sempre sulla Badia era presente una leggenda popolare che racconta che tra la chiesa della Badia e quella di Santa Barbara si aggirava, secondo gli antichi, un pauroso fantasma sul cui aspetto non tutti erano d’accordo, perché per alcuni era un mostruoso mulo con una strana gobba, mentre per altri era un immane ciclope, con le gambe divaricate tra i tetti delle due chiese. Di giorno non si faceva mai vedere da nessuno e non dava fastidio alcuno a chi si trovasse per caso a passare; ma di notte si scatenava con le sue visioni tenebrose e terrorizzava quanti si trovavano a passare. Era talmente indefinibile tale fantasma che il popolo lo chiamava unanime lu Cirrimbambulu di la Batia.

La storia dei contadini canicattinesi è segnata dalla fatica e dalla dedizione all’agricoltura e in questo campo l’uva ha svolto un ruolo centrale nella vita di questi contadini, sia come fonte di sostentamento che come simbolo di prosperità. Le tradizioni legate all’uva si manifestano durante le vendemmie, che rappresentano un momento cruciale nell’anno agricolo, questo periodo spesso celebrato con feste e rituali che coinvolgono l’intera comunità inoltre la produzione agricola spesso è una pratica tramandata di generazione in generazione.

 

È importante ricordare le tradizioni e la storia del proprio paese per fare in modo che non vada persa la memoria delle proprie origini.

Quante di queste tradizioni conoscevi?

Aurora Frangiamone III A Classico