Il mito eterno della femme fatale

Abituati alle descrizioni di donne angeliche, simboli divini come la Beatrice dantesca, entriamo ad un tratto in contatto, nel periodo a cavallo tra ‘800 e ‘900, con una nuova concezione della donna: si afferma la femme fatale, ammaliatrice lussuriosa dalla bellezza perversa, crudele e temibile.

 

Si tratta di un archetipo che trova la sua ragion d’essere nella prima grande donna biblica: Lilith. Presentata nel libro della Genesi come prima selvaggia moglie di Adamo, si ribella al ruolo subalterno a lei predestinato, vaga il mondo e si reincarna in alcune delle più importanti figure bibliche, come Dalila e Giuditta, mitologiche, come Circe ed Elena, e letterarie, come Eva e Madame Bovary.

 

Seppur si tratti di un espediente narrativo utilizzato in tutte le epoche, nel Romanticismo e Decadentismo si segnala una importante rottura con il passato per quanto riguarda il campo erotico.

 

Mai prima di allora, infatti, il sesso aveva avuto un così centrale ruolo nelle opere letterarie.

Ruolo che però si basa sulla seduzione artificiosa di una donna, spesso adultera, che è costantemente in cerca di libertà dal vincolo familiare e matrimoniale e che, di conseguenza, vive una perenne scissione, tra chi è e chi dovrebbe essere.

 

Prendiamo come esempio la Madame Bovary di Flaubert, che ritrova nella donna infame il suo ideale femminile. Ella è un’adultera che cerca continuamente di trasformare i suoi sogni di amore e passione in realtà, ma viene costantemente delusa dalla mediocrità degli uomini che incontra.

Per Flaubert infatti la lussuria è un sentimento antico, profondo quanto la terra stessa, che però adesso le sue protagoniste sfoggiano come fosse un attribuito magico, un’arma, un veleno.

 

Vittima anche troppo complice di questa femmina perversa è Charles Baudelaire: per lui la passione, l’eros non è mai scindibile dal disprezzo, tanto che le donne sono tanto più seducenti quanto più ripugnanti.

 

È questa dunque la vera visione della femme fatale, una tigre sensuale e micidiale, che non è ritratta come una dea, piuttosto invece come un animale insaziabile, un essere maledetto da esorcizzare che rivela nient’altro se non la paura con cui l’uomo guarda alla donna, avvertita come minaccia alla sua rettitudine e onestà, che dà al protagonista un senso di completa sconfitta.

 

Le femmes fatales ci hanno accompagnato nella letteratura per più di due secoli, ritagliandosi uno spazio piccolo ma visibile all’interno della società, contribuendo all’emancipazione e all’evoluzione del ruolo della donna.

 

Giulia La Carrubba, VCC