Formula 1: tra ambiente e nepotismo

La Formula 1 è sempre stata uno sport elitario, non accessibile a tutti a causa dei costi elevati, e sta diventando sempre di più limitante soprattutto nella questione ambientale.
Negli ultimi anni abbiamo visto molte manifestazioni e rappresentanti sorti per combattere il cambiamento climatico però, come spesso succede negli ambienti in cui circolano tanti soldi, il problema è stato quasi del tutto ignorato.
Nel 2023 i Gran Premi totali aumenteranno a 24 rispetto ai 20 del 2022 e tutti verranno svolti in località differenti di tutto il globo, partendo dal Bahrain per finire ad Abu Dhabi, passando per il Bel Paese ben due volte. Questo però comporta costi e inquinamento sempre più ingenti a causa degli elevati spostamenti. Infatti i 20 Team che concorrono per la vittoria finale del Titolo Costruttori utilizzano nei casi più fortunati camion per i viaggi europei. Per le tappe asiatiche o transatlantiche invece necessitano dell’uso di grandi Boeing e Jet privati, sicuramente non low cost.
Per le gare inoltre vengono consumati circa 200 litri di carburante da ogni vettura, 20 in tutta la griglia, per ogni week-end. Annualmente si parla di circa 100.000 litri.
La Fia (Federation Internationale de l’Automobile) e il Ceo della F1 si stanno impegnando a ridurre l’impatto ambientale ed entro il 2030 vogliono arrivare a zero emissioni nette. Infatti ogni anno vengono introdotte sempre di più nuove procedure tra le quali: motore ibrido, logistica e trasporto più efficienti, fabbriche e mezzi alimentati da fonti rinnovabili. Inoltre entro il 2025 anche gli eventi dovranno essere sostenibili con l’assenza di plastica monouso e altri materiali inquinanti. Anche molti piloti tra cui Sebastian Vettel, 4 volte campione del mondo e ormai prossimo al ritiro, si sono dedicati alla sensibilizzazione cercando di influenzare la federazione ma anche le abitudini giornaliere dei tanti fan.
Una grande novità introdotta nel 2014 è stata la Formula E, una categoria ideata per promuovere la mobilità elettrica. Infatti le vetture, molto diverse rispetto a quelle della massima categoria, sono alimentate da un motore 100% elettrico. I GP vengono disputati in circuiti cittadini tra le strade delle più grandi città del mondo.
Oltre all’aspetto green, un altro punto molto critico è la nascita di una contraddizione tra la definizione di sport e il motorsport. Quest’ultimo sta diventando sempre di più un business con scelte finalizzate solo all’aumento del capitale. Non che questo non accada anche in altri sport come il calcio ma negli ultimi anni, soprattutto per l’assegnazione dei sedili ai piloti, è stata presente poca meritocrazia per favorire comportamenti che potremmo definire nepotistici. Non sono rari infatti gli arrivi di piloti cosiddetti “figli di papà”. Nei passati 4 anni abbiamo visto gareggiare piloti come Lance Stroll, Nicholas Latifi, Nikita Mazepin o Mick Schumacher. I primi 3 figli dei Team Principal o di sponsor mentre Mick figlio del sette volte campione del mondo Michael. Di certo è difficile pensare siano stati scelti per le loro doti da pilota, visti anche i risultati nelle gare, quanto ai soldi che avrebbero portato nelle casse dei Team. Sono presenti comunque delle eccezioni come Lando Norris e Max Verstappen che, nonostante siano figli di personaggi influenti, hanno conquistato i loro sedili con grandi prestazioni, soprattutto Max, che a soli 25 anni vanta due titoli mondiali.
È un peccato che uno sport così appassionante e adrenalinico sia tanto dannoso al nostro ambiente e sia poco praticabile, anche a causa di molte ingiustizie economiche e commerciali.

Sofia Giardina IIIBC