Giorno dopo giorno, il vortice della tecnologia ci travolge e rischia di renderci di fatto meno umani o forse non più umani.
È tempo, dunque, di una pausa di riflessione e di ricordare che non ci imbattiamo nel futuro piuttosto, siamo noi a crearlo ogni giorno, e dunque saremo ritenuti responsabili delle decisioni che prendiamo in questo preciso istante e che si ripercuoteranno sulle nuove generazioni
Le onnipresenti tecnologie digitali a basso costo ci hanno permesso di affidare il pensiero, le decisioni e i ricordi a dispositivi mobili sempre meno cari e ai cloud intelligenti che li supportano. Questi «cervelli esterni» sono in rapida evoluzione: stanno passando dal conoscere gli umani al farne le veci, con la prospettiva di personificarli; cominciano cioè a diventare vere e proprie copie digitali di noi stessi. Orientarsi in una città straniera? Impossibile senza Google Maps. Non ho idea di dove mangiare stasera? Per fortuna c’è TripAdvisor. Ad ogni click o like, trasferiamo qualcosa che ci riguarda dettagli personali, preferenze, gusti, inclinazioni, materiale più o meno sensibile che ci racconta, o che descrive quello che facciamo, sentiamo, viviamo. Eppure non sappiamo con precisione chi conserva questi dati, come li usa e a quale scopo. È come se le nostre vite e le nostre speranze fossero nelle mani di algoritmi.
Come sarà l’uomo tra un paio d’anni restando chini sul cellulare?
Possiamo “perderci” in un mondo virtuale in cui, in nome dell’affermazione personale si perde il senso delle relazioni autentiche?
L’unica via di uscita da questo apparente vicolo cieco è conservare l’umanità anche nell’era digitale. L’uomo che è stato autore delle innovazioni tecnologiche, innovatore deve continuare a esserlo rimanendo sé stesso, senza perdere il senso della dignità dell’uomo quale portatore di valori.
Ester Beatrice Morreale IAC