E tu, ci hai mai fatto caso?

Vi siete mai chiesti perché noi siciliani siamo spesso catalogati come “elementi di poco conto” o, ancora, appartenenti ad una regione, per alcuni, non molto rilevante?

Come è noto a tutti, viviamo in periodi particolarmente difficili per la nostra regione.

In tutto ciò, che ruolo hanno e potranno avere i giovani?

In che stato politico/sociale si trova, oggi, la nostra isola?

Queste sono le domande che molti si pongono, ma, ancor prima, urge focalizzarsi su una fase preliminare che riguarda il periodo che ha reso possibile la creazione di quello che noi siamo oggi! Tanto scontato, quanto stupefacente, non credete?

Una fiorente preistoria, che ci dà il vanto di esser stati “culla della civiltà Greca”, con a seguire un altrettanto affascinante periodo cosiddetto “delle dominazioni”, che portò ad un’intensa fase di sviluppo dell’isola (si ricordi l’istituzione del Parlamento Siciliano-1130 d.C.) e alla prima forma di monarchia parlamentare (inusuale nel vasto panorama dei paesi del mediterraneo), con anche la Costituzione Siciliana del 1812.

Successivamente all’ingresso nell’era moderna, si arriverà al Regno Delle Due Sicilie e alla Rivoluzione Siciliana (con conseguente Regno di Sicilia); nel 1860, la regione, sarà la prima ad aderire al Regno d’Italia e dopo la seconda guerra mondiale, come conseguenza alle spinte separatiste e sempre dopo la stagione del Movimento indipendentista Siciliano, ottenne lo statuto speciale il 15 maggio del 1946-la prima regione ad ottenere tale, particolare, forma di governo; avremo, poi, l’entrata in vigore della Costituzione Italiana , nel 1948. In linea generale, tutti noi isolani, possediamo un mix di ricchezze unico nel suo genere, però, c’è un però…

Da diversi anni viviamo un costante spopolamento, un impoverimento generalizzato ed esteso a livello socio-economico,  eppure non ci mancherebbe nulla per vivere dignitosamente in terra di Sicilia.

Il cancro, quindi, è da ricercare in altri aspetti: quello, ad esempio, relativo ad una classe politica scadente, che negli anni ha curato i propri interessi, anziché gli interessi di tutti; l’incapacità di saper incanalare il sapere e le conoscenze, di saper lavorare in gruppo, affinché si costruisca qualcosa di positivo;

la poca voglia di dedicarsi al sociale, di dedicarsi all’altro in maniera sostanziale e del tutto priva di secondi interessi; un governo nazionale che, invece di tutelare adeguatamente chi si batte contro un’altra dolorosa piaga, che prende il nome di mafia, si rende cieco e incapace di recepire il bisogno di sicurezza, di presenza spirituale ed umana. Tante le positività e altrettante le negatività.

Dando ancora una volta uno sguardo al passato, possiamo renderci conto dell’esistenza di uomini, di pilastri, che hanno reso grande la nostra terra, partendo da poco più di niente. Per grandi, si intende: Salvatore Quasimodo, Giovanni Falcone, Leonardo Sciascia, Tommasi di Lampedusa, Paolo Borsellino, Giovanni Verga, Rosario Livatino, Andrea Camilleri e tanti altri seguirebbero in questa elencazione…

Proprio uno di loro, ovvero Verga, scrive il romanzo denominato “Mastro-Don Gesualdo”, dove l’autore riporta in maniera strettamente legata al vero, la dimensione egoistica e disinteressata che campeggiava in quegli anni (e per certi versi, che permane tutt’oggi). Il povero Gesualdo, di umili origini, riuscirà a far fortuna ed entrare, tramite matrimonio, in una famiglia di ceto abbiente. Quella stessa famiglia, però, annullerà il suo essere, proprio per via delle sue umili origini, facendolo morire nell’indifferenza, nell’egoismo e nell’odio. Questi ultimi, sono tutti sentimenti che, con modificazioni dovute all’andare dei tempi, possono essere ritrovati nella società contemporanea, in particolar modo nella nostra bella Sicilia. È vero, alzare la testa comporta sacrifici immani, ma con il coraggio e la determinazione, tutti quei giovani che lasciano questa travagliata terra natia, potrebbero rappresentare la speranza di rinascita e di nuovo sviluppo; il siciliano non è un rifiuto, ma una risorsa.

Noi siamo, per così dire, l’ombelico del mondo, dove “la straordinarietà dell’ordinario” prima citata e la bellezza di tutto ciò che ci circonda, sono delle costanti e lo saranno sempre.

 

Severino Magni V-AS