Lolita, il romanzo frainteso

“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia.”

 

Lolita è il romanzo emblema della scabrosità e dello scandalo. E’ un romanzo più disprezzato che amato, sia da chi si è cimentato nella sua lettura che da chi ne ha soltanto sentito parlare. Tutti sanno di cosa tratta Lolita, pochi sono riusciti ad andare oltre la vicenda narrata per concentrarsi sulla vera essenza dell’opera.

 

E’ necessario, affinché sia possibile apprezzare il romanzo, separare la propria morale dalla lettura, per poterlo affrontare in modo neutrale.

“Lo stile e la struttura sono l’essenza di un libro; le grandi idee sono risciacquatura di piatti” è quello che sostiene lo stesso Nabokov, nella sua altra grande opera Lezioni di letteratura; tale sentenza trova la sua più grande applicazione, a mio avviso, proprio in Lolita: tema principale è la pedofilia, elaborato piuttosto sfacciatamente (senza mai però scadere nel volgare) e sicuramente responsabile dell’indignazione che ha accolto Lolita al momento della sua pubblicazione. Lo stile è artefatto, barocco, pregnante dal punto di vista semantico, tanto che sembra quasi di leggere una poesia, nonostante si tratti di una prosa. L’opera quindi è indebolita, per certi versi, dalla trama poco accessibile, ma è rinvigorita dalla vivacità della penna di Nabokov; ad ogni rilettura è inevitabile cogliere nuovi dettagli, riferimenti e sfumature di significato: è un libro in continua e dinamica evoluzione.

 

L’elemento di raccordo tra la pomposità stilistica e il tema analizzato è il protagonista, nonché narratore del romanzo, Humbert Humbert. Si tratta di un uomo di trentasette anni, apparentemente ordinario e privo di sfaccettature proprio come il suo nome, ma estremamente superbo e caratterizzato da un’incorreggibile misantropia, cosicché perfino Dolores, chiamata affettuosamente da lui stesso Lolita, è ritenuta indegna della sua stima; la complessità del personaggio è data dalla sua contraddittorietà: se a tratti egli cerca di giustificare la sua ossessione insinuando che sia proprio la dodicenne Lolita a spingerlo verso di sé, subito dopo si dimostra consapevole del suo comportamento malato; è in questo modo infatti che rende il lettore vittima della sua manipolazione: col suo linguaggio retorico e persuasivo oltre che ironico, Humbert riesce a evadere dalla dimensione del colpevole e diviene un uomo piacevole, colto, con il quale è spaventosamente facile simpatizzare. Sta proprio qui il fascino di Lolita: un bravo lettore non deresponsabilizzerà Humbert ma saprà apprezzare i suoi stratagemmi linguistici pur mantenendosi imparziale.

 

Beatrice Russello VCC