I sette contro Naro

Nel 467 a.C., in occasione delle Grandi Dionisie, feste in onore di Dioniso, Eschilo, il primo tragediografo greco di cui ci siano pervenute opere complete, rappresentò ad Atene la tragedia de “I sette contro Tebe” (Ἑπτὰ ἐπὶ Θήβας). Oggi, a distanza di 2.489 anni, per un pubblico più saggio e dai gusti delicati, ripresento questo antico gioiello della letteratura greca in veste moderna e aggiornata. Dunque:

da un’idea di Eschilo

I sette contro Naro

Tragedia in mezza pagina

Naro città di sudici,

Naro città di pazzi,

di matti senza scrupoli

son pieni già i palazzi;

Naro ch’è detta sordida,

zozza com’ogni feccia,

di schifo sei ‘na treccia,

peggio degli Zulù!

In un tempo molto antico, sette ragazzi, disprezzando le donne dei loro paesi, decisero di attaccare la città di Naro, per rapire le belle Naresi. Si diceva, infatti, che di tutta la Sicilia le più belle ragazze fossero a Naro: che bizzarre leggende eran quelle…

Ciascuno dei sette ragazzi proveniva da una delle sette città attorno a Naro: Campobello, Castrofilippo, Delia, Camastra, Canicattì, Grotte e Racalmuto. La notizia che questi sette prodi stavano arrivando cominciò a circolare e tutti i Naresi fremevano di paura; qualcuno disse che, sentendo la notizia, pure San Calò sbiancò.

Gli uomini corsero a prendere le armi mentre le donne della città andarono a fare la guardia sopra le mura: dall’alto delle imponenti torri, aspettavano di scorgere le luccicanti armature dei sette ragazzi. All’improvviso, una delle donne, tale Maranna dei Rossani, vedendo qualcosa muoversi all’orizzonte, esclamò: “Putenza di lu gibbiuni! Arrivano!”

Che strilli, che urli per quelle vie! Che gran paura e che panico suscitò l’arrivo dei prodi giovani. Chi avrebbe mai detto che una tale sciagura sarebbe piombata sull’inerme Naro!

Il re della città, Francesco III detto “il Vasapollo” (perché ghiotto di polli allo spiedo), venne subito informato dell’arrivo della comitiva di giovani, che nel frattempo si era accampata in una casa di campagna. Ma il re, che tanta fame aveva di polli, non si muoveva dal trono e continuava, come solo gli sciocchi sanno fare, a rimandare il problema.

I sette ragazzi decidevano nel frattempo la tattica: ognuno avrebbe attaccato una delle sette porte della città, cosicché la vittoria fosse più rapida. Questo piano piacque e questo fu scelto: celebrarono poi il giuramento solenne.

Venne il giorno decisivo: gli scudi dei giovani luccicavano al primo sole. I rossi cimieri sventolavano, incutendo paura a chiunque li guardasse. Gli animali dei pascoli erano fuggiti e le volpi non ridevano più come loro solito. Gli animi andavano riscaldandosi. Uno squillo di tromba echeggiò per la valle del fiume Naro: la battaglia cominciò.

Spade, fischi, pugni, pigne, zuffe, tonfi, corri, scappa, schegge, strappi, gridi, strilli, strazi e nel giro di mezza giornata la battaglia terminò. Un messaggero annunciò l’esito: “Il Re è morto, e la città è morta con lui!”

I sette ragazzi riuscirono ad entrare in Naro, ma rimasero sbalorditi nel vedere quello che vi trovarono. Le tante storie che parlavano della bellezza delle Naresi erano in realtà… tutte finte. Queste Naresi erano baffute, col naso grosso, le gambe setolose e soprattutto con un aspetto terribilmente mascolino: praticamente erano identiche alle donne che avevano disprezzato nei loro paesi. I sette ragazzi, esterrefatti e schifati, distrussero la città il giorno stesso.

Da questa antica storia nacque quel proverbio che recita “Jammu pi futtiri e fummu futtuti” che si usa proprio nelle occasioni in cui non ci si aspetta che l’intera situazione si ribalti contro chi la fa.

Non c’è da stupirsi, dunque, se l’origine di un simile detto sia stata trovata nell’ambigua condotta di certi Naresi, che, volendosi fingere chissà che, non fecero altro che portare alla rovina la loro città. Sarebbe stato più facile dire sin da subito la verità, negare l’esistenza di certe bellezze, rivelarsi per quello che si era, e la città non sarebbe stata attaccata, sconfitta e poi distrutta.

Che triste sorte quella di Naro! Ma ancora più triste quella di chi ci casca!