Sport e arte a Kabul dopo il 15 agosto

La ritirata dell’Occidente dall’Afghanistan e la restaurazione dell’emirato islamico aprono scenari preoccupanti e rischiano di mettere a repentaglio il raggiungimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda “raggiungere uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le ragazze e le donne”.
Nel breve termine il pensiero corre all’urgenza di mettere in salvo tutte quelle donne che faticosamente avevano ricostruito sotto il precedente governo una forma di partecipazione alla vita pubblica. Molte di loro temono rappresaglie da parte dei telebani e lanciano appelli all’occidente che dopo aver abbandono il campo non potrà restare indifferente, ma dovrà impegnarsi a favorire straordinarie misure di evacuazione per proteggere il maggior numero possibile di vite.
Una delle notizie più recenti riguarda la morte di una ragazza, giocatrice di pallavolo Mahjubin Hakimi, che è stata decapitata per aver inseguito il sogno di diventare una giocatrice di pallavo.
 
 
C’è anche chi ha il coraggio di ribellarsi a questo regime come la Street artist Shamsia Hassani, nata nel 1988 a Teheran, in Iran, dove i suoi genitori, originari di Kandahar, sono emigrati durante gli anni della guerra. Hassani mostra interesse per la pittura fin dalla tenera età, ma non le viene permesso di studiare l’arte, oggetto di studi proibiti per gli studenti originari dell’Afghanistan. Al suo ritorno nel 2005, studia arte tradizionale all’Università di Kabul. Successivamente trova lavoro come docente incaricata e in seguito professore associato di scultura presso l’università. Fonda il collettivo d’arte contemporanea Rosht che con la sua arte trasmette il suo totale dissenso verso questa vita piena di divieti.