Dallo schermo alle pagine e viceversa: il “Satyricon”, “La Grande Bellezza” e “Il Grande Gatsby”: banchetti, musica, lusso e divertimento sfrenato.

Cosa c’è di meglio di una bella festa? Sicuramente, secondo Trimalchione, Jep Gambardella e Jay Gatsby, nient’altro, i quali sono rispettivamente i personaggi principali del “Satyricon” di Petronio, “La Grande Bellezza” di Sorrentino e “Il Grande Gatsby” di Fitzgerald.

Il primo è un capolavoro della letteratura latina risalente all’era del principato di Nerone, anche se non abbiamo una data precisa: infatti è un capolavoro pieno di interrogativi; persino il suo autore è per noi in dubbio, anche se lo si identifica in Petronio, dalla descrizione data nel 16° libro degli “Annales” di Tacito, che ce lo racconta come un “arbiter elegantiae”, ovvero “arbitro dell’eleganza”, quindi chic, raffinato, un esteta o meglio, un dandy, insomma: era l’unico spregiudicato al punto giusto, tale da poter scrivere un’opera come questa.

Il “Satyricon” infatti, non è stato oggetto di studio nelle scuole per moltissimo tempo, a causa dei contenuti dai temi scabrosi, che suscitavano scandalo, soprattutto per quanto riguarda il tema del sesso e dell’amore omosessuale di Encolpio, che è il vero protagonista dell’opera. Egli intraprenderà un triangolo amoroso con altri due ragazzi: Gìtone e Ascìlto. Di tutta la trama però, ci è rimasto integro solo l’episodio della “Cena di Trimalchione”, a cui i tre ragazzi prenderanno parte. Trimalchione è un ricco, ma assai rozzo liberto, che ama ostentare il suo lusso organizzando continui banchetti, dove stupisce gli invitati con effetti speciali. In questo passo, Petronio va a criticare la società di quel tempo e la disintegrazione culturale, ma anche lo snobismo degli intellettuali, che sono inadeguati per interpretare il sapere. Da tutto ciò, si capisce quanto la scelta di non diffondere nelle scuole il “Satyricon”, risulta completamente sbagliata e inaccettabile, poichè l’opera è una grande fonte di cultura per noi: ci mostra com’era la società ai tempi di Nerone, com’era praticato il sesso, come si svolgevano i banchetti, le feste, i culti degli dei e addirittura la lingua usata dal popolo, che non era il classico latino che si studia sui banchi di scuola. Continuando a render giustizia a questo capolavoro, si spera che non venga mai più dimenticato e ricordiamo il famoso adattamento cinematografico di Federico Fellini, dal titolo omonimo, del 1969, con protagonista l’attore Martin Potter.

“La Grande Bellezza”, invece è uno dei film italiani più famosi e premiati all’estero, infatti nel 2014 ha vinto il premio Oscar al miglior film in lingua straniera. Nato dal genio di Paolo Sorrentino, racconta la storia di Jep Gambardella, un giornalista che frequenta i luoghi più chic e rinomati della mondanità romana. Famosissima la prima scena, dove ha luogo una grande festa in una terrazza, piena di gente, ovviamente ricca, che si diverte, che beve e che balla a ritmo di “A far l’amore comincia tu” della grandissima cantante Raffaella Carrà. Jep, potremmo tranquillamente paragonarlo ad Encolpio o azzardatamente a Trimalchione, ma è molto più giusto paragonarlo a Petronio stesso, poiché lui riconosce la decadenza della società, anche se la vive in prima persona, ma ne è consapevole al 100% e non può far nulla per cambiarla. È un film di difficile comprensione, infatti molti hanno avuto difficoltà a individuare il vero significato di molte scene, che sembrano non averne alcuno. Ma se lo si riguarda un paio di volte, lentamente la verità dietro ad alcuni episodi, esce fuori: in particolare, è bene sottolineare il significato di una delle ultime scene, in cui la vecchia suora, identificata quasi come una vera e propria Santa, alla domanda di Jep “Perchè lei mangia le radici?”, risponde “Perché sono importanti”. Questo va a sottolineare la critica contro la società, incapace di mantenere le radici culturali salde all’interno di questo nuovo mondo moderno.

Un paragone ancora più efficace col “Satyricon”, si può creare con il capolavoro del 1925, scritto da Francis Scott Fitzgerald, ovvero “Il Grande Gatsby”, il cui primo titolo era proprio “Trimalcione”: un romanzo ambientato nei ruggenti anni ’20 del 1900, che ha come protagonisti il ricchissimo Jay Gatsby e Nick Carraway, il narratore della storia. Gatsby è ossessionato dallo sfarzo, dal lusso e dalle grandissime feste che organizza nella sua bellissima villa a Long Island, a New York. Da giovane (e povero), si era innamorato di Daisy Fay, una ricca ereditiera e, prima che Jay partisse per la prima guerra mondiale, si erano giurati amore eterno, ma Daisy infrange la promessa e sposa un ricco e famoso giocatore di polo. Daisy era diventa per lui l’unico motivo per vivere e pertanto va in Inghilterra ad arricchirsi a più non posso, con il fine di poterla riconquistare un giorno. La differenza con i personaggi delle altre opere che ho prima citato è evidente: Gatsby adora divertirsi e far divertire la gente con le sue feste, ma lo fa per un motivo per lui molto importante, non è fine a sé stesso ma al grande amore della sua vita, che non è il lusso, ma Daisy. Qui troviamo sempre la critica alla società, anche se velata, che è contrapposta al punto di vista di Nick, che è un conformista. Di questo romanzo, nel 2013, è stato creato il film, con protagonisti Leonardo Di Caprio, Tobey Maguire e Carey Mulligan, dal regista Baz Lurhmann, che ha vinto ben due premi Oscar.