Il fallimento degli smartphone

Sempre più diffusi tra i giovani, e negli ultimi tempi anche tra gli adulti, gli smartphone rappresentano uno dei simboli più significativi della rivoluzione tecnologica compiuta dagli uomini: comodi, super intelligenti, capaci di compiere calcoli alla velocità della luce, sostanzialmente dei piccoli computer a portata di mano. Quello che però la società non capisce, o forse, più realisticamente, finge di non capire, è che l’ascesa al potere degli smartphone non è che lo specchio di un vero e proprio fallimento dell’umanità.
Perché un fallimento? Per una serie infinita di tragici motivi per cui elencarli tutti sarebbe impossibile.
Parliamo del principale di questi motivi: l’impatto ambientale.
Ogni cellulare contiene, oltre ad una buona percentuale di plastica, una quantità impressionante di metalli, quali: rame, piombo, ferro, cobalto, platino, alluminio, stagno, nichel e perfino oro e argento tra i più frequenti e in totale ogni smartphone è costituito da circa 60 metalli diversi. Il primo danno causato all’ambiente è quello dell’estrazione di questi metalli, effettuata in maniera intensiva e quindi dannosa per il territorio circostante; inoltre, il procedimento di estrazione può arrivare ad emettere nell’aria più di 200kg di CO2, e durante la produzione di un singolo smartphone ne vengono emessi circa 35kg, dati che risultano spaventosi se paragonati alla quantità di cellulari prodotti nel mondo.
Una triste constatazione che dobbiamo fare è inoltre quella che i territori più ricchi di metalli preziosi sono anche quelli più poveri economicamente e socialmente. Le miniere in cui si estraggono i metalli presentano condizioni di lavoro rasenti alla schiavitù. Un caso famosissimo è quello del Congo, che contiene circa l’80% delle riserve mondiali di parecchi dei metalli citati sopra. Qui le persone vengono sfruttate e costrette a lavorare in miniere giorno e notte, probabilmente senza alcun diritto di ricevere un compenso. Per di più, il controllo delle miniere genera continui conflitti armati tra superpotenze economiche che non fanno altro che gravare su Stati già di per sé disastrati.
Un altro problema dato dalla produzione degli smartphone è quello del loro smaltimento. Secondo uno studio effettuato da GreenPeace nel 2017, a partire dal 2007 sono stati prodotti oltre 7 miliardi di cellulari e più le case produttrici si innovano, più tendono a lanciare sul mercato prodotti destinati a vivere per non più di due anni circa, praticamente usa e getta, contribuendo all’aumento della richiesta. Il cosiddetto “e-waste”, ossia gli scarti di device e strumenti elettronici, non è a caso il tipo di rifiuto più in aumento al mondo. Ad oggi, l’e-waste mondiale equivale a 50 milioni di tonnellate di scarti prodotte ogni anno e si stima che entro il 2050 si debbano raggiungere i 250 milioni di tonnellate annue. Questi numeri implicano quantità mastodontiche di materiali plastici e metalli preziosi sprecati.
Alcuni Paesi hanno cominciato delle campagne di riciclaggio dei materiali di cellulari non più utilizzati, ma non avendo tecniche adeguate riescono a riciclarne minime percentuali, oltretutto in modo dannoso per l’uomo e l’ambiente. Difatti, la tecnica base consiste nel bruciare i materiali plastici per lasciare i metalli, questo comporta l’emissione di gas nocivi che intasano l’ambiente e mettono a grave rischio il nostro sistema nervoso, i reni, il cervello, il cuore, i polmoni, il sistema sanguigno e la pelle.
Tutto questo può sicuramente farci disperare che le cose migliorino, ma noi tutti possiamo fare qualcosa. Ad esempio, non sostituire il proprio cellulare mediamente ogni due anni ma tenerlo per più tempo, perché anche se non si hanno gli ultimi modelli, i più costosi, quelli che più fanno invidia alla gente non succede nulla di male, anzi la Terra potrebbe soltanto ringraziarci.