L’uomo che sfidò Putin

Il 16 febbraio 2024 è morto in prigione il dissidente russo 47enne Alexey Navalny. Nato nel 1976
nella regione di Mosca, era stato il principale oppositore del presidente Vladimir Putin. Nel 2020 si
era salvato da un presunto avvelenamento da novichok, mentre nel marzo 2022 era stato condannato
a 9 anni di reclusione per frode e violazione della libertà condizionale. Sottoposto a un nuovo
processo, dal giugno 2023 stava scontando 19 anni di reclusione per estremismo.
Nel 2012 Alexey era riuscito a diventare pilastro delle manifestazioni di protesta organizzate contro
i brogli elettorali delle presidenziali. Candidatosi nel settembre 2013 alle elezioni comunali di
Mosca, alle quali era arrivato secondo ottenendo il 27% dei consensi, a causa di precedenti
condanne non aveva potuto correre alle presidenziali del 2018.
Le autorità russe, aggiungendo un'ulteriore accusa a carico dell'oppositore, hanno bollato come
"estremiste" sia la rete di uffici di Navalny in Russia sia la Fondazione Anticorruzione
dell'oppositore che negli anni passati ha dato più di un grattacapo agli alleati di Putin: su
quest'accusa è basato il processo che si chiude oggi. L’uomo è stato arrestato nel gennaio del 2021,
arrivato a Mosca da Berlino dove era stato curato per un avvelenamento che ha fatto temere per la
sua vita e per il quale i principali indiziati sono i servizi segreti russi. Alexey denuncia, inoltre,
continui soprusi in carcere e di essere ripetutamente rinchiuso in un'angusta cella di punizione con i
pretesti più inconsistenti.
Ha invitato i russi a continuare a "resistere" al Cremlino dopo la sentenza che ha detto di
considerare una "condanna a vita". "Vogliono spaventare voi, non me, e privarvi della volontà di
resistere. Putin non deve raggiungere il suo obiettivo ", ha scritto su Facebook.
"Non sono sorpreso" ma "sono indignato" dalla notizia della morte di Alexey Navalny, così il
presidente Joe Biden, parlando alla Casa Bianca. "Putin è responsabile per la morte di Navalny", ha
detto Biden. Anche se non ci sono prove al momento di un assassinio dell'oppositore russo, ha detto
rispondendo a una domanda, la sua morte è la "conseguenza di qualcosa che Putin ha fatto".
Lascia due figli e la moglie Julija Borisovna detta Navalnaya che ha accompagnato, sostenuto,
subito anche lei tutte le conseguenze dell’impegno attivo del marito. È laureata in Relazioni
Internazionali, ex funzionaria di banca. Considerata la fist lady dell’opposizione russa.
Si sono conosciuti nel 1998 durante una vacanza in Turchia: coincidenza ha voluto che entrambi
fossero di Mosca, e così la simpatia iniziale ha potuto tramutarsi in una relazione, che nel 2000 è
stata suggellata dal matrimonio.
A margine della conferenza per la Sicurezza di Monaco e dopo un incontro con il segretario di Stato
Usa, Antony Blinken, che le ha espresso le sue condoglianze, Navalnaya ha aggiunto, parlando di
Vladimir Putin e degli altri esponenti del regime: «Saranno portati davanti alla giustizia e questo
giorno verrà presto».
Poi l'appello lanciato dal podio della conferenza: «Vorrei chiedere all'intera comunità
internazionale, a tutti i popoli del mondo: dobbiamo unirci e combattere contro questo male.
Dobbiamo combattere contro l'orribile regime della Russia di oggi. Questo regime, e Vladimir
Putin, devono essere considerati responsabili personalmente per tutte le atrocità commesse nel
nostro Paese».
In un passaggio molto commovente del suo discorso, Navalnaya ha confessato ai delegati che, dopo
che i media statali russi hanno diffuso la notizia della morte nella colonia penale del marito, non
sapeva se doveva rimanere per fare il suo intervento. Ma poi ha capito che rimanere era quello che
avrebbe fatto lui. «Ho pensato per un po', ho pensato “devo rimanere qui per fare il mio discorso
davanti a voi o devo tornare dai miei figli?” Ma poi mi sono chiesta: “Cosa avrebbe fatto Alexey al
mio posto?” Sono sicura che lui sarebbe salito su questo palco», ha detto, provocando la standing
ovation dei delegati della conferenza.
Beatrice Falcone, IV Ac