Lo straniero rappresenta una delle immagini più frequenti in tutte le letterature, e certamente non a caso.
Raffigura e traduce in sé il più profondo istinto naturale di ricerca del nuovo, una sfida al confronto, un’istintiva attrazione/repulsione per ciò che ci è estraneo, per realtà sconosciute ma conoscibili.
I Greci sono i primi a dare una qualche definizione di straniero definendolo “βάρβαρος”, letteralmente “balbuziente”, che non conosce l’idioma ellenico e quindi inferiore.
E’ lo stesso Omero primamente in letteratura a definire βαρβαρόϕωνοι (Il., II, 867) i Cari dalla lingua aspra e indecifrabile, seguito poi da Plutarco che dice Barbariche le parole senza senso, ma che attraverso il loro suono trasmettevano qualcosa di arcaico e sacro, come gli Ephesia grammata (Plut., De superst., 3, p. 166 b). Ma non si tratta ancora di differenza di razza.
La differenza sostanziale, secondo i primi autori infatti è la lingua: è proprio attraverso questa che l’uomo da animale diventa essere civile, cittadino, superiore.
L’opposizione vera, razziale, si affermerà più tardi, quando il potere egemone sarà ellenico, e al significato linguistico del termine se ne aggiungeranno altri politici e soprattutto morali ed etici.
Questo tempo non è altro che quello delle Guerre Persiane, primo punto di incontro/scontro con una cultura completamente e profondamente diversa da quella ellenica.
E’ adesso che i Barbari diventano veri nemici della Grecia, oltre che strumento politico per l’unificazione e la coesione dei Greci stessi…
Se per storici come Ecateo ed Erodoto esiste il concetto di relativismo culturale assoluto, che non vede alcun popolo superiore a un altro, per la restante maggioranza di autori, pensatori e filosofi greci (mi riferisco per esempio ad Eschilo, Aristotele, Platone ecc..), anche il relativismo culturale è relativo, sempre all’inferiorità dello straniero e all’esaltazione della patria, Atene.
Per un primo alito di cambiamento bisognerà aspettare Euripide, tragediografo del V secolo, che attraverso la sua tragedia scomoda e per nulla rassicurante, metterà in crisi tutti i valori tradizionali di allora e presenterà il vero disagio esistenziale umano attenzionando per la prima volta anche e soprattutto personaggi subalterni e marginali come lo erano le donne, le vittime, gli stranieri, i barbari (Medea prima fra tutti, seguita da Ecuba, le Baccanti ecc…).
Sarà poi l’estendersi della cultura, l’avvento di Alessandro Magno, l’affermarsi dell’Ellenismo e della conseguente orientalizzazione dei Greci che aprirà le porte ad una quasi idealizzazione del barbaro recluso in spazi remoti, da parte dei filosofi ellenistici che delusi dalla vita reale e corrotta, vedevano nella loro estrema semplicità la fonte della beatitudine umana.
Dai Greci ellenistici l’accezione negativa dello straniero come rozzo e animalesco, passò ai Romani che compresero e sentirono la forza di questa civiltà in maniera talmente forte da definire barbari tutti i popoli che mancavano di cultura ellenistica, o meglio greco-romana.
Se con Nevio si ha la prima impressione di straniero “dal carattere feroce, indomito”, bisogna notare come la concezione di barbaro cambi al cambiare e allargarsi dell’Impero.
Uno dei più grandi autori della latinità, un vero e proprio intellettuale al potere, fu per esempio Seneca, provinciale e spagnolo, che contribuì in maniera sostanziale e indubitabile alla cultura romana.
Nella modernità invece, come si considera lo straniero? Che ruolo ha nella nostra società?
Con i cambiamenti storici e sociali la considerazione dello straniero cambia e si trasforma in apprezzamento e tendenza irrefrenabile al nuovo e diverso, derivata dalla consapevolezza che chiunque proviene da contesti diversi dal nostro costituisca per il Paese in cui si sposta un importante assetto, poiché portatore di un arricchimento culturale che si configura anche come apertura mentale.
Il diverso, lo straniero tuttavia porta anche paura e repulsione, così come ha fatto sempre, e conseguentemente esclusione per tutti coloro che non rientrano negli standard della “normalità”. Possiamo dire quindi che la diversità sia sempre stata parte della storia dell’umanità come scambio, crescita, necessità e allo stesso tempo timore, esclusione e allontanamento
Il primo passo per provare infatti la nostra così sopravvalutata evoluzione sociale è considerare lo straniero non come tollerabile ma piuttosto come bene da tutelare.
Giulia La Carrubba VCC