Flusso di coscienza: una pagina di grida sorde

Mangiarono vittimismo a colazione e poi mi fecero stare male chiusa nella mia testa, soffiarono nel vento facendomi soffocare ma mi dissero di non darci troppo peso. Puntarono il dito contro di me ma dovevo semplicemente accoglierlo, mi dissero. Mi dissero anche che l’amicizia non esiste. Mi dissero che troverò un ragazzo che mi amerà ma a me interessava altro, stetti zitta sopprimendo quelle lacrime che non dovevano nemmeno scendere. Da bambina guardai barbie e mi dissero che era quella la bellezza, a pranzo parlavano di calorie e a cena di voti. Mi dissero di non piangere e di sforzarmi ad essere come tutti gli altri. Parlavo senza dire nulla, stavo in silenzio dicendo mille cose, mentre mi faceva credere che la luce della luna fosse quella del sole continuavo a sorridere illudendomi, continuavo a tenere stretta quella fune che credevo fosse la felicità ma era soltanto il mio dolore. Mi dissero che era amicizia, mi dissero che è soltanto una fase, mi dissero che dovevo aspettare senza parlare, senza fare nulla. Mi costrinsero a descrivere il ragazzo dei miei sogni che non esiste, che somigliava tanto ad una ragazza. Mi dissero di diventare normale, mi dissero di parlare e di innamorarmi di un ragazzo. Mi dissero di contare le calorie e di studiare. Mi soffocarono sino a non vederci più, mi fecero confondere e caddi in continuazione in una bolla già sgonfia. Mi dissero che non andassi bene, mi lasciarono sola in una stanza d’albergo sotto le coperte con le lacrime agli occhi, mi gridarono in faccia di dover parlare, mi gridarono in faccia che ci fosse qualcosa in me di sbagliato. Non si accorsero dei miei abbracci, mi riempivano di parole insicure e false, sono cresciuta in un castello di sabbia pieno di stanze pronte a sgretolarsi, a cadere, a sciogliersi. Mi lasciarono sola in una tempesta con le onde più alte della luna. Mi mandarono da dottori, psicologi, bambini cattivi per guarire dalla mia malattia. Non parlai per molto tempo, non capii per molto tempo. Guardai al di là del cielo in cerca di uno scorcio di luce che potesse salvarmi, la vitti e quella luce ero io. Bendai le mie braccia e le mie ginocchia e continuai a camminare nel buio credendo in mille luci artificiali, corsi nella neve soffice sino a venirne risucchiata, bevvero il mio sangue e si nutrirono del mio dolore. Mi trafiggevano e poi chiedevano scusa, ogni volta dissi che non faceva nulla, ogni volta sorrisi. Avevo sei anni, o forse cinque, iniziarono a dirmi chi fossi, trattenni ogni volta le lacrime e annullai le mie espressioni, mantenni sempre la stessa espressione anche se dentro di me nascevano ed esplodevano mille mondi. Mantenni la stessa espressione, mi dissero di essere una brava bambina calma e poi mi obbligarono a divenire il contrario, mi dissero che fossi una bambina speciale di poche parole e poi mi buttarono al rogo perché non riuscii più a parlare. Giocarono con la mia mente, con le mie emozioni, giocarono con le parole per farmi credere altro. Mi dissero che le parole non avevano importanza, mi dissero di non offendermi quando mi insultavano, mi dissero di essere il peggio e di non valere nulla. Sento ancora una piccola spada sul cuore che mi congela e mi fa ritornare nelle mie ferite che credevo risanate. Mi dissero di sorridere e se avessi il ragazzo, mi dissero di preparare le interrogazioni anche se non riuscivo a leggere con la voce rotta e soffocata dalle lacrime. Mi dissero che il tempo avrebbe curato tutte le ferite, che avessi bisogno del tempo per superare un dolore, mi dissero che meritassi di meglio, un amore più forte. Credetti di crederci ma in realtà tutto dentro di me si rompeva sempre di più, in realtà la mia anima stava piangendo ininterrottamente. Mi sentii in colpa per nulla, mi sentii poco importante, mi sentii un sacchetto vuoto, una mente vuota e una persona brutta. Mi dissero di amarmi, poi mi dissero che era troppo, poi mi chiesero scusa e io ritornai a spezzarmi. Mi sarebbe bastato un grazie invece di mille scusa. Mi dissero di essere speciale per poi non volermi più vedere dopo cinque giorni, mi dissero di valere il mondo per trattarmi come il nulla, mi dissero di essere l’amore per poi subire vuoti, indifferenze, silenzi. Ad ogni giorno che passa pieno di nulla mi si riempie e mi si svuota il cuore di ciò che vorrei riprendere ma che devo allontanare. Mi dissero che tutto sarebbe andato per il meglio, mi dissero che quella era soltanto una fase ed io volevo semplicemente essere originale. Mentii a me stessa per mentire agli altri. Gli altri mentirono a me per poi io mentire a me stessa. Mi dissero di essere dietro ogni cosa bella per poi lasciarmi nel freddo, non sapevo fosse una bugia, non sapevo di star vivendo nell’illusione. Giocarono con la mia mente e mi dissero che la colpa non è mia. Forse si, forse amare è una colpa. Mi dissero di avere tanti talenti per poi guardarmi con uno sguardo pieno di pena e pietà. Un giorno mi dissero di meritare di essere felice e poi l’indomani mi fecero dubitare dell’amore di tutti. Mi dissero che mi accontentavano di tutto, mi chiamarono viziata, ingrata e muta. Poi qualche giorno dopo piansero perché non riuscivo a fare quello che facevano tutti gli altri bambini della mia età. Ho avuto paura, ho avuto paura di poter essere illusa altre volte così non riuscii più a rapportarmi con altre persone. Poi questa paura pian piano scomparse e venni illusa di nuovo. Credetti di essere un fantasma, credetti di essere trasparente e senza emozioni. Credetti di essere una bambola, una decorazione, un oggetto. Mi dissero di dover amare ma solo certe persone, mi dissero di uscire ma poi si lamentarono di non esserci mai. Mi riempirono di parole dolci per poi sparire, mi riempirono di promesse colmate con il vuoto. Volsi lo sguardo alla luna e sembrava che mi riuscisse a capire solo lei, la guardai di nuovo e la odiai per essere l’unica a riuscirmi a vedere. Mi dissero di apprezzarmi, di volermi bene, di amarmi. Mi fecero soffrire e mi ammonirono di non dirlo a mia madre. Crebbi in un terreno scosceso e molle, in un terreno che in realtà erano nuvole che mi facevano cadere e volteggiare in eterno. Mi insegnarono a farmi piacere i ragazzi, mi dissero di farmi delle amiche per poi dirmi di avere solo amiche e mi dissero di dover fare amicizia con i ragazzi. Sembrò che non fossero mai contenti di me, mi impegnai e sbagliai, caddi e gridai in faccia a mia madre, poi me ne pentii e piansi. Volli morire per porre fine al mio dolore ma non ebbi abbastanza coraggio allora decisi di non provare più nulla. Mi dissero di essere timida, mi dissero di essere brutta, di non correre abbastanza velocemente. Mi dissero di divenire la versione più lontana da me stessa, di essere qualcun altro per venire accettata. Osservai il disgusto delle persone appena dicevo la mia verità. Mi dissero di volermi bene ma poi si vergognarono a farsi vedere dalla gente con me, mi dissero di amarmi ma poi non vollero tenermi la mano. Credetti che la felicità si dovesse trovare nelle altre persone, capii di dover essere la mia stessa serotonina, la mia stessa luna e il mio stesso sole. Nessuno sarebbe stato in grado di amarmi come posso farlo io. Dovetti costruire mura alte e spesse, piene di fiori e di rosa attorno alle mie verità, chiunque si sarebbe sentito in dovere di smentire quelle che per me sono le mie verità, quella che sono io. Mi dissero di non dover essere testarda, mi dissero di mangiare per poi trasmettermi la paura del cibo. Mi dissero così tante cose, capii che quelle parole fossero lo specchio delle loro paure e delle loro insicurezze. Capii che le uniche parole che importano davvero sono le mie. Lo dovevo sapere, in fondo lo sapevo. Mi riscaldavano con un semplice sguardo, ma non aveva poi così tanta paura se ero l’unica a dare, davo il mio mondo, davo me stessa ma non aveva importanza. Piansi, e poi piansi di nuovo sino a svegliarmi con gli occhi gonfi. Continuai a sorridere, sorrisi tutto il tempo, sorrisi con gli occhi, sorrisi con le labbra in quell’oscurità che mi stava risucchiando, continuai a piangere sorridendo con le mani tremanti cercando di impugnare una penna per versarmi in un foglio bianco che riusciva a farmi sentire meno sola, meno sola rispetto le loro parole fredde e i loro rifiuti, rispetto tutte le volte in cui mi hanno abbandonata senza nemmeno pensare a come potessi sentirmi in quella bufera che creavano e in cui mi ci buttavano. Ebbi paura di me stessa, mi tenni il cuore con le mani fredde per paura che potesse cadere e rompersi per sempre. Dettero più importanza ai miei voti che al mio dolore, dettero più importanza alle interrogazioni che alla mia felicità. Poi decisi io a cosa dare importanza e chiusi gli occhi, mi buttai e lessi mille parole confuse che mi riportavano alle mille sofferenze e a quella felicità distorta. Mi chiesi se avesse importanza continuare se nessuno mi vedeva, mi chiesi se si sarebbero accorti della mia assenza, molto probabilmente no. Meritavo la felicità, mi dissero le persone che me la rubarono senza nemmeno parlarmene. Poi credetti di nuovo di essere un velo trasparente.