“Un multiverso di pollici in su”

Sui social network ormai si vede di tutto: da ricette di cucina a, purtroppo, “challenge” affrontate per ottenere qualche “pollice in su” o “cuore” in più sul proprio profilo. Queste sfide hanno dato prova di essere davvero pericolose e in alcuni casi hanno portato alla morte ragazzini ingenui a cui, già a partire dagli otto anni, i genitori danno in mano uno smartphone con la rete annessa. Su Instagram viene postata buona parte della nostra vita, dal momento in cui ci svegliamo, a quello in cui andiamo a dormire. Ovviamente questa è una scelta personale e ognuno è responsabile di ciò che posta, nonostante questo, però, credo che dovremmo essere più informati sui rischi del mondo social. Spesso mi è capitato di cercare il mio nome su Google e trovare diverse mie immagini, precedentemente postate su Instagram, su diversi siti senza il mio consenso. È vero, spesso siamo noi a rendere pubbliche le nostre foto postandole sui nostri profili “pubblici”, dimenticandoci che Instagram senza il nostro consenso può condividerle su altri siti. Questo è niente rispetto a certe “sfide mortali”. Nel 2017, ad esempio, si diffuse, a partire dalla Russia, una pericolosissima “challenge”, ovvero una sfida su YouTube e Instagram, chiamata “Blue Whale”, dietro la quale si nascondevano persone adulte, certamente non sane di mente, che invitavano i ragazzini a compiere atti suicidi ricattandoli con le foto delle loro famiglie pubblicate da loro stessi sui social e, purtroppo, diversi di loro sono caduti nella trappola perchè troppo piccoli per capire la realtà dei fatti. Un fenomeno simile si è verificato poco tempo fa su una nuova piattaforma chiamata TikTok, che ha portato alla morte una piccolissima bambina di Palermo. Qualche anno fa invece è nato il fenomeno di Telegram, un’applicazione simile a Whatsapp che, però, per poter messaggiare con una determinata persona, non richiede di inserire il numero di telefono, quindi si possono facilmente inserire dei nomi falsi. Diversi utenti hanno creato dei gruppi su questa piattaforma dove condividevano video o foto a luci rosse di ragazzine, a volte “photoshoppate”, a volte invece reali, ovviamente senza il loro consenso. Per fortuna, non appena il fatto è stato scoperto, gli utenti sono stati rintracciati dalla polizia postale e arrestati. Riguardo al postare di tutto sui social media, è stata anche a lungo criticata e lo è ancora oggi, la già citata e famosissima influencer Chiara Ferragni, non solo per il fatto di postare ogni giorno foto della sua giornata, ma soprattutto per le foto riguardanti Leone, suo figlio, che ha avuto nel 2018 insieme al cantautore Fedez, nome d’arte di Federico Lucia. Chiara a queste frequenti critiche ha risposto nel suo documentario uscito nel 2019, che parla in generale della sua vita, chiamato “Chiara Ferragni Unposted”, ovvero ciò che non ha mai postato su Instagram del suo vissuto, della sua infanzia, del processo tramite il quale si è costruita questo nuovo lavoro, la sua azienda di vestiti di alta moda e diversi altri dettagli riguardanti la sua vita offline. Chiara ha raccontato che durante l’ottavo mese di gravidanza stava per perdere il suo bambino, ma grazie all’aiuto di bravissimi dottori, ha dato alla luce Leone. Da questa esperienza lei è uscita fortemente scossa e adesso, pur riconoscendo che potrebbero esserci dei pericoli o magari che Leone da grande potrebbe non essere d’accordo con questa sua scelta, ha deciso di condividere ogni momento felice trascorso con suo figlio. Effettivamente molti di noi, suoi followers, conoscono ogni singolo momento della vita del figlio, la sua prima parola, i suoi primi passi e così via, non avendo neanche un minimo di privacy e credo che da grande non ne sarà molto entusiasta, poiché questo bambino di soli 3 anni, è esposto ad una platea di circa 20 milioni di utenti che ogni giorno guarda le storie di Chiara.
Ritengo che abbiamo un meraviglioso strumento tra le nostre mani, sempre disponibile, ma ritengi anche che questo possa diventare un’arma a doppio taglio, che si potrebbe ritorcere contro noi stessi utenti di queste piattaforme digitali. Certamente, però, dobbiamo riconoscerlo, ci hanno aiutato molto in questo difficile periodo di pandemia, permettendo di tenerci sempre in contatto e di svolgere regolarmente il nostro lavoro o seguire le lezioni. Noi uomini siamo capaci di creare cose inimmaginabili, ma, come è narrato nel grande classico “Frankeistein” di Mary Shelley, a tutto ci deve essere un limite e dovrebbero essere poste delle condizioni entro le quali fermarsi e dire “basta, stiamo andando oltre”.